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Ciao Giovanni

Martedì 22 ottobre 2013, una mattina surreale gela ogni rombo attorno alle cave di Botticino. La durezza della cronaca come la pietra, nessuno sconto: Giovanni Civettini, 41 anni, ci ha lasciato, tradito da una sorte beffarda. Una terribile irripetibile casualità mentre era alla guida del suo scavatore, un’ora di lotta con le gambe incastrate sotto un blocco impossibile della “Corna” che tanto amava. Un’ora di lotta contro la caotica impotenza di tutto e tutti. Colleghi, pompieri e mezzi senza sosta. Poi il vuoto ed il silenzio se lo portano via per sempre.

Due bellissime Denise ed Alessandra,  la moglie Antonella e la famiglia perdono un papà eccezionale, il paese un suo cittadino esemplare. Il nostro GGB un amico per sempre. Per settimane nessuno ha più lacrime ne’ parole.

Assieme a Claudio e Luca, tu Cive eri arrivato alle grotte da autodidatta nel 1996. Il vostro biglietto con “Cercasi speleologi per andare oltre” lasciato sul cancello dell’Omber, è ormai aneddoto per la miglior letteratura speleologica.

Prontamente arruolato eccoti lì ed in altre grotte vere: come ad Aladino, durante la classica pesante uscita di fine corso, dove scriverai anche il secondo aneddoto. Arrivai con te alla base del P.35 Sudtirolen, a -230m, con alle spalle un duro “armo e disarmo” secondo la miglior tradizione bresciana. Ricordo d’un tratto lo stupore, il tuo viso pieno di felicità quando, guardando all’insù oltre la placca nera bagnata, pensasti di essere ormai fuori. Senza volerti dire che di pozzi in realtà ne mancavano ancora 15, cercai di capire perché ne fossi tanto sicuro. “Pota siamo fuori, dai che è l’ultimo!” ripetevi, stupito che io non capissi! Poi il fascio del mio potente elettrico quasi ti tramortì, svelando l’arcano. Tramutando le stelle che luccicavano con della banale condensa: “Che indianata!” avere ancora 3 ore davanti…

Vennero appunto anche le grotte vere come l’Aria Ghiaccia o il Corchia dove eri con noi, Giovanni, per Fighera-fondo passando addirittura dal Khayyam. “Che indianata queste strettoie!”, ripetevi continuamente e in rigoroso dialetto bresciano, mentre ti contorcevi nei 3 penosi “Castighi di Dio”. Senza sapere di essere ormai tra i pochissimi al mondo ad essere passato di là. Senza sapere che, anche prestato a tante altre passioni, saresti rimasto uno speleo per sempre.

Prima o poi, te lo prometto Cive, un libro lo scriveremo. E ci sarai anche tu, con le tue indianate a raccontarcele. Con lo stesso sorriso di allora.

Matteo “Pota” Rivadossi


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