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Samar: riepilogo di un'avventura speleologica con la A maiuscola

La scheda della spedizione
Partecipanti: 6 italiani (in ordine geriatrico Guido Rossi, Lorenzo Caramazza, Matteo Rivadossi, Claudio Castegnati, Stefano Panizzon, Massimo Benini), 3 francesi (Jean Paul Sounier, Alain Jamin, Tristan Godet), 3 filippini (Bebeth Dacut, Joni A. Bonifacio, Erwin the Mute).
Organizzazione: a cura del Gruppo Grotte Brescia e Odissea Naturavventura.
Zona d’esplorazione: Carso ad Est di Calbiga. In ordine cronologico zona Guian-Monbon Rivers e Korot River (barangay Tabay, municipalità di Hinabangan), zona Mactingol River e Buluan (barangay Buluan, municipalità di Calbiga) e zona Panayoran (barangay Panayoran, municipalità Calbiga).
Periodo: dal 29 Marzo al 28 Aprile 2009.
Attività esplorativa effettiva: 21 giorni.
Metri rilevati:12.000
Metri esplorati: 14.000
Numero foto: circa 5000
Ore video: 3h 40’
Costo pro capite tutto compreso: 1550 Euro (Volo internazionale, volo interno, assicurazione, trasporti via terra, cibo, permessi, portatori, spese pre-spedizione).

Il gusto del rientro
Quello che stiamo assaporando ora è il boccone più prelibato di ogni spedizione: i profumi del rientro ma soprattutto la crescente consapevolezza di una grandiosa avventura, di quella follia inebriante che per un mese ci è sembrata addirittura normalità.

E’ un abbraccio grande come la vita dato dai propri bimbi, dalla compagna, un pezzo di parmigiano o una fetta di salame. Anche il semplice respirare aria fresca: tutto gustato a fondo mentre nella testa scorrono le istantanee della foresta, delle marce da sfinimento, i ritratti di certi portatori, delle grotte vere, con il rombo dei fiumi sotterranei che ormai non fa più paura. Difficile farsi capire quando forse non ci interessa nemmeno.

Per raccontare l’avventura si evocano in caso i malanni e i pericoli scampati. Si descrivono chilometri di fiumi capricciosi, della vita nel fango, della dieta di riso perché raccontare di aver fantasticato delle notti sui profumi dell’olio d’oliva sarebbe più difficile. Lo sguardo fisso nel bicchiere di rosso, tutto il palato è per lui ma la testa quella è sempre nella foresta sotto la pioggia. Le parole degli amici, dei parenti sono echi lontani. Siamo soli. Attorno solo rumori di sogni vissuti.

I compagni
Sono stati parte di noi e forse non ce ne siamo accorti prima. Persone speciali, predestinate. Quest’anno tutte vaccinate contro l’eventualità che la vacanza poteva anche non essere gradita dalla guerriglia… Nessuna paura, certo. Solo la possibilità di restare a diecimila km da casa senza permessi o senza materiale come altre due volte…

E i filippini? Grandi: bastavano due sguardi per capirsi, non importa se si parlava tagalog, inglese o francese. Lo zoppo Bebeth vale molto più di qualche grande speleo.
Il muto stesso con la sua disponibilità è partito come mascotte ed è tornato come pasticcione, impacciato, scroccone ma soprattutto come grande compagno. Per non parlare di tutti i locali che ancora una volta ci hanno insegnato con assurda modestia come vivere e sopravvivere in foresta. Loro c’erano sempre: per raccogliere foglie con cui farne un provvidenziale pediluvio, per togliere la sanguisuga dall’occhio di Alain, per guidarci al buio con il GPS che piangeva.

Chiudo gli occhi per respirare un soffritto pesante per 30 persone. Per ritrovarmi otto ore ad aspettare fuori da un buco sotto la pioggia: bastava uno sguardo perché alla fine si avesse la sensazione di essere una persona sola. Un tendone che ha riunito mille pensieri nella semplicità di una vita vissuta con la scusa di cercare la strada dei fiumi sotto la foresta. Lì sotto c’era chi ha fatto i capricci a 50 anni, chi si è fatto fare il sacco per un mese, chi non ha mai dormito, chi era talmente “operativo” da incasinarsi, chi ha russato per 10 ore per ogni notte. Ognuno piacevolmente insopportabile come una vecchia morosa.

Compagni di sifoni, di birre, di sacconi da fare e disfare. Compagni di sudore asfissiante e di piccole gioie scolandosi un cocco.
Se vivere fosse facile come esplorare, i miei compagni resterebbero sempre con me. Per sentirmi sempre forte come nuotando a dorso controcorrente con la volta ad un palmo dal naso.

Della fortuna di esplorare
Nessuno tra gli adepti della montagna vive l’incognito come gli speleologi. A loro l’arte di amministrare le possibilità esplorative spremendo il potenziale idrogeologico. Giocolieri, artisti, architetti e cartomanti che snobbano scienze imperfette come la geologia.
In spedizione il nemico aggiunto è l’ansia da prestazione: due settimane per mettere una croce su un carso a diecimila km da casa o lasciare vergognosi mille punti di domanda. Come gestire allora 300 km quadrati di depressioni tra inghiottitoi e risorgenze da 20 metri cubi?

Questa volta il carso ha ribadito che è meglio annerire tanti puntini che intestardirsi su uno solo di essi: Mactingol si è rivelato ciò che temevamo fosse. Un collettore enorme ma solo un collettore. E senza la possibilità di strutturarsi in livelli fossili, i suoi 8 metri cubi al secondo sono un’inutile freatico da incubo lungo solo 2,5 km. Per di più in una foresta maledetta da infezioni e micosi a cui la fortuna (che a volte ci vede bene come la sfiga) ha risposto dalla comoda Calbiga con un bel sistema da 6500 metri sfacciatamente da manuale con la beffa degli avvicinamenti ridicoli. Non ho parole per descrivere questa scoperta che umilierebbe qualsiasi ragionamento razionale. Ovviamente se non fossimo speleologi…

I risultati
Il risultato metrico di 14 km di nuove cavità è solo secondario al vero successo di una spedizione che di fatto completa, assieme all’edizioni 2004 e 2008, un primo esaustivo quadro della complessa idrografia, superficiale e ipogea visto che si confondono essendo un’unica rete, di uno dei carsi più importanti dell’arcipelago filippino: il carso ad est di Calbiga. Già oggetto dei desideri speleologici a partire dal 1987, la sua accessibilità è sempre stata proibitiva per via dell’attività rivoluzionaria maoista del New Peaple Army.
Già lo scorso anno le ricerche insperate compiute in zona Buluan, avevano permesso di stabilire l’esistenza di un insospettabile secondo bacino idrogeologico, più a nord di quello rappresentato dall’asse evidente Mactingol-sorgente di Kalidungan in cui si innesta il record metrico di tutta l’area, i 13 km di Can-Yawa Cave (JP Sounier & C., 2000-2002).

Oggi sappiamo che oltre lo spartiacque est-ovest, l’acqua del Guian-Monbon (che ritroviamo in Elaroman Cave 1) attraversa una dorsale, riaffiora a Kabituan, entra in Tamag Doi Doi rinvigorita dalle perdite del Korot River per andare verso la valchiusana di Tabay, una delle più grandi sorgenti del Taft River: e questa è davvero una bella sensazione speleologica!

Attorno a Kalidungan (sorgente del Calbiga River) già dal 1994, con l’esplorazione di un paio di enormi depressioni con fiumi sul fondo e alcuni pozzoni allagati, avevamo avuto la sensazione che l’aquifero qui corresse sommerso e le poche finestre altro non erano che crolli su tronconi compresi tra sifone e sifone, di un grande estuario freatico.

Attorno a Buluan la scoperta del Sotano di Kanibot, uno dei più grandi volumi mai scoperti nelle marne, ripropone l’interrogativo proposto dall’assai simile Sotano allagato di Pasak (scoperto nel 2008), della sua folle escursione di 50 metri e della probabile falda sospesa su cui poggiano questi enormi pistoni idraulici.

Davvero sorprendente il sistema di Panayoran, colpo di puro culo (pardon, ogni tanto serve…) da quando è nato come segnalazione di un pescatore d’anguille fino all’ultimo dei 6500 metri esplorati. Un complesso a 5 ingressi, bello e articolato che riempie il carso a valle dell’inghiottitoio di Palaspas e l’amonte della ciclopica cavità di Langun-Gobingob. Un tassello che mancava, un grandioso risultato speleologico e soprattutto una grossa opportunità per i locali nell’ottica di valorizzazione eco-turistica da parte dell’amministrazione.

Qualche rammarico
Il più grande dispiacere è di essere arrivati a Buluan due giorni dopo la morte di un bambino di 4 anni, figlio di uno delle nostre guide. Probabilmente a salvarlo da una semplicissima ed implacabile diarrea sarebbe bastata qualche nostra sciocca pastiglia di Imodium accompagnata da un antibiotico intestinale.

Per il resto, parlando di frivolezze e quindi di grotte, abbiamo ribaltato mezzo carso ma certamente ci è scappato qualcosa: forse una certa Bubtac in zona Korot, per esempio, ma soprattutto Panginhuman in zona Mactingol, data per chilometrica ed enorme da troppi locals per non esserlo…

L’altro piccolo rammarico è la situazione creatasi tra alcune guide, ormai un classico da spedizione ahimè anche in Filippine: un personaggio mitico come lo è stato Dundy nel 2008 che quest’anno è scaduto verso la fine alzando pretese insensate per litigare poi con tutti quelli che per sua volontà sono rimasti esclusi dal lavoro di porter. D’altronde le nostre spedizioni sono briciole di consumismo troppo ghiotte per tutti.

Problemi fisici
E’ poco carino da scrivere ma vorrei ringraziare gli amici francesi per aver calamitato su di loro tutte le sfighe. Scrissi che il premio “Malediction de la Mactingal” andò allo sfortunato Alain con un bottino di micosi, due sfiorati annegamenti nei vortici di Mactingol, una ferita alla schiena per un frazionamento saltato quando gli sarebbe bastata l’ultima sfiga da sola: una agghiacciante sanguisuga che scorrazzava all’interno del suo bulbo oculare!

In classifica è seguito da Jean Paul con una gamba imputridita: non si sa se da un attacco batterico, da una reazione allergica o da qualche fungo. Si riprenderà a Tacloban tra albergo e ospedale con un mix di antibiotici e antimicotici ovviamente di uso veterinario.

Anche Frizzi e Lillo hanno sfoggiato una bella micosi da 10 giorni a testa mentre Guido, Claudio e Pota preferiscono sul finale una febbre debilitante che, malgrado gli auguri francesi, non si è rivelata preambolo di anchilostomiosi ma normale influenza.
Per il resto qualche ginocchio o caviglia scricchiolanti a ricordare (soprattutto a Lorenzo) che quando eravamo giovani, purtroppo, era già qualche anno fa…

Concludendo
Non ci sono parole né immagini per guarire dalla voglia di tornare laggiù. Assuefatti sogniamo una sorta di mondo incantato da cui dipendiamo biochimicamente. Non sono solo luoghi ma sensazioni per sempre.
Le grotte come la spedizione solo una scusa per avere un mese in cui giocare ancora a rompere la nostra vana ritualità.
Ora cerchiamo pure un equilibrio nello stress ritrovato ma qualcosa dentro di noi ha già iniziato un altro inesorabile conto alla rovescia.

Matteo “Pota” Rivadossi


Albero gigante


Alla base di Ludi Bito


Arrivo a Buluan


Avvicinamenti


Camparina Cave, Samar 2009


Campo base casa Dacut


Campo base Monbon River


Diaframmi in Elaroman Cave1


Elaroman Cave2


Freatico da 15 metri di diametro ad Elaroman1


Freatico in Elaroman Cave1


Gallerie ciclopiche in Elaroman Cave1


Gallerie impossibili in Borabot (Complesso di Panayoran)


Gallerie in Elaroman Cave1


Gli Abbagnale dopo la piena


Il p.50 di ingresso di Ludi Bito (Complesso di Panayoran)


Il riposo del guerriero


Il sotano di Kanibot


Il tek, re della foresta


La gamba marcia di Jean Paul


La mappa del tesoro


L’immancabile fuoco


Ingresso di Borabot


Lungo il fiume del Complesso di Panayoran


Magazzino


Marcia in foresta


Merenda in foresta


Pranzo in foresta


Rapide lungo il Mactingol River


Ritorno al campo dopo una punta


Sosta con i porter in foresta


Speleo motorizzati


Tavola imbandita in foresta


Un Ibingan, cobra nero delle Filippine


Un locale sfrutta la luce per pescare


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